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Prof. Riccardo Frosini - Oculista
Chirugia oftalmica
Oculista pediatrico

L’occhio: come è fatto e come funziona

ll corpo umano è dotato di una serie di sensori che lo mettono in contatto con il mondo esterno trasformando in impulsi nervosi diretti ad aree del cervello specializzate stimoli di diversa natura.
L’orecchio percepisce le onde di pressione e le trasforma in suoni, l’olfatto ed il gusto percepiscono stimoli chimici, il tatto percepisce stimoli fisici quali la temperatura e la pressione. L’occhio raccoglie minutissime particelle, i fotoni, che sono i vettori della luce e le trasforma in immagini.
Queste particelle si muovono a velocità elevatissima con moto ondulatorio e vengono trasformate in impulsi nervosi da una struttura altamente specializzata di origine nervosa, la retina. Questa costituisce in qualche modo l’elemento sensibile dell’occhio, come la pellicola di una macchina fotografica o il sensore di una telecamera o di una fotocamera digitale.
L’occhio ha forma sferica e la retina ne riveste la parte opposta alla pupilla formando una sorta di coppa. Essa appare come una sottile membrana tappezzata di due tipi di cellule che rispondono in modo diverso allo stimolo che ricevono. Un gruppo di esse, che a causa della loro forma allungata prendono il nome di bastoncelli, hanno bisogno di poca luce per funzionare e ci aiutano nella visione notturna. Non sono però in grado di riconoscere i colori, non riconoscono bene i dettagli (alla luce lunare non si legge il giornale!) e vanno in letargo quando la luce è intensa. Ce ne accorgiamo quando dalla luce del giorno entriamo in una galleria poco illuminata: siamo quasi ciechi finché, dopo alcuni secondi, i bastoncelli non si svegliano e cominciano a funzionare di nuovo.

Le malattie che colpiscono i bastoncelli (tipica la retinite pigmentosa) rendono il paziente incapace di adattarsi alle condizioni di bassa luminosità.
L’altro tipo di cellule, per la loro forma chiamati coni, hanno un comportamento del tutto opposto. Hanno bisogno di molta luce per attivarsi, ma forniscono immagini notevolmente dettagliate e sono la sede della visione dei colori. Sono distribuiti su tutta la retina, ma sono particolarmente fitti in una piccola area circolare della retina, chiamata macula, che si trova proprio di fronte alla pupilla e al cui centro è situata la fovea, il punto di maggiore sensibilità della retina.
Quando leggiamo, guardiamo la televisione, facciamo l’esame della vista per la patente, utilizziamo proprio questa piccola zona della retina che presenta il massimo dell’acuità visiva.

Le malattie che colpiscono i coni della macula (maculopatie) impediscono al paziente di vedere nitidamente. Le immagini che si formano sulla pellicola di una fotocamera devono essere nitide per essere leggibili: a questo provvede un obiettivo formato da più lenti che consentono una messa a fuoco ottimale.
Similmente il nostro occhio dispone di un obiettivo di messa a fuoco costituito da due lenti, la cornea ed il cristallino.

La prima è facilmente visibile poiché costituisce la parte più anteriore dell’occhio ed è lucida e trasparente, il secondo si trova situato più in profondità ed è coperto dall’iride. Questa è una membrana variamente colorata che agisce come un diaframma opaco che ha lo scopo evitare che una luce eccessiva entri nell’occhio e danneggi la retina. Per questa ragione l’iride è forata al centro dalla pupilla: questa si restringe quando la luce è eccessiva (miosi) e si dilata quando la luce è scarsa (midriasi).
Nell’albinismo l’iride non è opaca e lascia passare la luce anche al di fuori della pupilla- Per questa ragione l’albino è fortemente disturbato anche da luci poco intense.
Il cristallino è una vera e propria lente perfettamente trasparente che, insieme alla cornea, mette a fuoco le immagini sulla retina. Diversamente dalla cornea, il cristallino può modificare la propria forma per adattarsi alle diverse distanze di osservazione, in particolare per guardare da lontano e per leggere o lavorare da vicino. Questa capacità (accomodazione) è massima nel giovane e si riduce con l’età dando luogo al fenomeno della presbiopia. La perfetta trasparenza del cristallino può deteriorarsi nel tempo: la presenza di cataratta indica proprio la perdita di trasparenza del cristallino. I fotoni che colpiscono la retina e costituiscono le immagini del mondo che ci circonda innescano una reazione nei coni e nei bastoncelli che dà origine ad un segnale elettrico. I segnali elettrici di tutti i coni e di tutti i bastoncelli vengono raccolti dal nervo ottico che li trasmette ad una specifica area del cervello, la corteccia visiva, dove vengono ricostruite le immagini così come noi le percepiamo.
Malattie vascolari, degenerative, infiammatorie, che colpiscono il nervo ottico impediscono la trasmissione dei segnali e possono ridurre fortemente la visione.
Tutte le strutture oculari sono contenute in un guscio protettivo di colore biancastro (la sclera) che ha circa le dimensioni di una pallina da ping-pong. Alla sclera sono fissati i muscoli oculomotori (sei per ciascun occhio) che consentono i movimenti degli occhi per l’esplorazione dell’ambiente circostante. Normalmente i movimenti dei due occhi sono perfettamente sincronizzati e gli assi visivi dei due occhi sono paralleli e diretti verso lo stesso oggetto. Nello strabismo gli assi visivi perdono il loro parallelismo e sono diretti verso oggetti diversi.

Patologie

  • • Patologie Oculari
  • • Vizi di Refrazione
  • • Miopia
  • • Ipermetropia
  • • Astigmatismo
  • • Presbiopia
  • • Ambliopia (occhio Pigro)
  • • Aniridia
  • • Astenopia
  • • Cataratta
  • • Calazio pterigion
  • • Cheratocono
  • • Distacco di retina
  • • Glaucoma
  • • Maculopatie e Retinopatie
  • • Miodesopsie e fotopsie
  • • Nigstagmo
  • • Occhio secco
  • • Oftalmopatia-Basedow
  • • Ptosi
  • • Retinite pigmentosa
  • • Retinopatia Diabetica
  • • Stenosi vie lacrimali
  • • Strabismo
  • • Uveite

Ambliopia

Il neonato possiede un’acuità visiva molto bassa (se facesse la visita per la patente riuscirebbe a stento a distinguere il primo rigo della tabella ottotipica). Gradatamente la capacità visiva migliora, tanto che all’età di un anno vedrebbe già il 6°-7° rigo per arrivare all’ultimo rigo, quello dei 10/10, all’inizio della scuola. Questa progressione necessita che la retina venga adeguatamente stimolata: in assenza di stimolo visivo appropriato lo sviluppo visivo si arresta e l’occhio interessato rimane con una capacità visiva ridotta, talora anche in maniera rilevante: è questo il fenomeno dell’ambliopia, cosiddetto “occhio pigro”.
Le cause di ambliopia sono molteplici. Un bambino può nascere con una opacità più o meno completa del cristallino (cataratta congenita), oppure con aree della cornea non trasparenti (leucomi), oppure con due occhi portatori di vizi di refrazione molto diversi uno dall’altro (anisometropia), oppure presentare una ptosi palpebrale (abbassamento della palpebra superiore) che chiuda la pupilla, oppure sviluppare uno strabismo che impedisce l’uso contemporaneo di ambedue gli occhi e spesso induce all’uso di un solo occhio. In tutte queste situazioni il bambino privilegia l’uso dell’occhio che gli fornisce le immagini più nitide ed esclude l’altro che, per conseguenza, rallenta fino ad arrestare del tutto lo sviluppo visivo. Per di più il periodo nel quale è possibile far riprendere la funzione all’occhio ambliope è limitato (entro il 4°anno) dopodiché il trattamento diventa sempre più difficile e povero di risultati.
Il primo passo verso il trattamento è quindi la diagnosi precoce di tutte le possibili cause che possano indurre ambliopia. Una volta individuata la causa, questa va prontamente eliminata (se necessario chirurgicamente) e deve essere intrapresa la terapia riabilitativa. Questa, oltre che sull’impiego della correzione ottica adeguata, si basa principalmente sulla riduzione del visus nell’occhio migliore. Questa può essere ottenuta mediante colliri a base di sostanze che dilatino la pupilla e offuschino la visione (atropina), mediante l’uso di lenti opportunamente “sbagliate” sull’occhio migliore (penalizzazione), mediante l’applicazione sulla lente dell’occhio migliore di appositi “filtri” semiopachi che ne riducano la visione, fino a giungere all’occlusione “a pelle” dell’occhio buono. Tutte queste soluzioni debbono essere applicate con molta pazienza e costanza e per lunghi periodi per ottenere e stabilizzare i risultati migliori, che possono essere anche molto positivi.

Astigmatismo

È causato da una deformazione della cornea, che normalmente ha la forma di una calotta sferica e che invece assume una forma ovalare (più o meno la differenza che c’è fra un pallone da calcio e uno da rugby). Questa deformazione della cornea causa una analoga deformazione delle immagini che il paziente percepisce come sfuocate: tanto maggiore sarà la deformazione, tanto più sfuocate saranno le immagini. Trattandosi di una alterazione a carico della cornea, l’astigmatismo potrà presentarsi talora da solo, talora associato alla miopia in caso di occhio troppo lungo o all’ipermetropia in caso di occhio troppo corto. In tal caso la correzione ottica dovrà tenere conto di ambedue i vizi di refrazione. Si potranno impiegare lenti correttive su occhiali: si tratterà di lenti cosiddette cilindriche che imporranno alle immagini in arrivo una deformazione uguale e contraria prima di incontrare la cornea. Si possono impiegare con successo anche le lenti a contatto: quelle di tipo rigido modificheranno direttamente la superficie anteriore della cornea rendendola sferica, quelle morbide dovranno essere costruite in modo da annullare la deformazione corneale (lenti morbide toriche). Queste ultime sono le uniche utilizzabili in età pediatrica. In caso di astigmatismo la sfericità della cornea potrà essere ottenuta anche utilizzando appositi programmi di gestione del laser ad eccimeri con contemporanea riduzione sia della miopia che dell’ipermetropia eventualmente associate.

Calazio e orzaiolo

Sono due processi infiammatori che colpiscono le palpebre. Il calazio si presenta come un nodulo della grandezza di un piccolo chicco di mais che solleva la cute della palpebra e che spesso si osserva anche all’interno della palpebra stessa. Talora l’inizio è acuto con modesto dolore che non aumenta significativamente alla pressione con un cottonfioc, gonfiore localizzato e arrossamento, ma non è raro che l’inizio sia silente. Si tratta di una infiammazione cronica per la quale non esiste una terapia specifica. Se l’inizio è acuto possono essere impiegate pomate antibiotico-cortisoniche, in genere con scarsi risultati. Il calazio non costituisce rischio e si può attendere tranquillamente che si riassorba spontaneamente (spesso occorrono mesi). In alternativa si può asportare chirurgicamente, ma nel bambino ciò richiede l’anestesia generale.
L’orzaiolo è al contrario sempre una infiammazione acuta che, a differenza del calazio, tende ad interessare una zona più vicina al bordo della palpebra. Ha la grandezza di un chicco di grano, provoca gonfiore diffuso ed arrossamento e, tipicamente, se toccato con un cottonfioc, provoca dolore. Si risolve spontaneamente in pochi giorni senza esiti. Non richiede terapia, si possono impiegare pomate antibiotico-cortisoniche e leggeri impacchi caldo-umidi, non indispensabili.

Cataratta

Nell’interno dell’occhio una lente perfettamente trasparente, il cristallino, consente di mettere a fuoco le immagini del mondo esterno sulla retina. La patologia che più frequentemente colpisce il cristallino è la perdita della trasparenza, la sua caratteristica essenziale. Questo opacamento prende il nome di cataratta. Il risultato è che anche le immagini che giungono sulla retina sono meno nitide. La malattia è solitamente progressiva: all’inizio la perdita di nitidezza è modesta, ma gradualmente si può giungere ad una completa perdita della visione. La causa più frequente di cataratta è l’avanzare dell’età: si calcola che sopra ai 70 anni circa il 75% della popolazione presenta una cataratta. Anche i traumi oculari, alcune infiammazioni croniche delle membrane profonde dell’occhio (uveiti, iridocicliti), il diabete, alcuni farmaci (cortisonici), numerose malattie sistemiche, possono causare cataratta. La terapia della cataratta è esclusivamente chirurgica. Fortunatamente oggi, grazie agli enormi progressi tecnici, l’intervento di cataratta è diventato oltre che estremamente sicuro anche molto rapido ed efficace. In pratica si elimina il cristallino opaco frammentandolo con una sonda ad ultrasuoni e aspirandone i frammenti, poi lo si sostituisce con un cristallino artificiale di opportune caratteristiche adattate a ciascun paziente. La sicurezza è legata principalmente alla ridottissima apertura attraverso cui il chirurgo agisce all’interno dell’occhio e ai tempi estremamente precisi e brevi di ciascuna mossa chirurgica. L’efficacia è legata alla precisione con cui si calcola il nuovo cristallino da introdurre. L’intervento è talmente efficace che consente perfino di eliminare una eventuale miopia preesistente.
La cataratta può anche presentarsi in bimbi molto piccoli, fino dalla nascita (cataratta congenita). La conseguenza più grave della cataratta congenita è che provoca ambliopia: la retina non viene raggiunta e stimolata da immagini nitide e pertanto la vista non riesce a svilupparsi adeguatamente quindi rimane spesso molto bassa. Per questo occorre agire rapidamente: il cristallino opaco deve essere allontanato entro il secondo mese di vita, la sua funzione di lente sostituita con una lente esterna all’occhio (su occhiali o a contatto) fino al secondo-terzo anno ed infine viene impiantato un cristallino artificiale come nell’adulto. E’ evidentemente essenziale la diagnosi precocissima: per fortuna questa viene eseguita in tutti i punti nascita della Toscana dal 2005 osservando il cosiddetto “riflesso rosso” dell’occhio nel neonato, lo stesso che così frequentemente si vede sulle fotografie dei bambini.

Cheratocono

La cornea è la lente anteriore dell’occhio, lucida e trasparente. Se la osserviamo di lato la sua forma appare praticamente sferica. In effetti la cornea normale ha le caratteristiche geometriche di un segmento di sfera. Talora la sua forma è lievemente ovalare, ciò che provoca una deformazione delle immagini che si formano sulla retina (astigmatismo regolare). La sfuocatura che il paziente percepisce può essere eliminata con l’uso di apposite lenti cilindriche.
Talora invece la cornea va incontro ad una deformazione più irregolare che, nei casi conclamati, si può osservare anche guardandola di lato. L’apice della cornea tende a farsi più acuto e la cornea nel suo complesso tende ad assumere l’aspetto di un cono con il vertice arrotondato: è questo il cheratocono. Ovviamente le immagini che si formano sulla retina sono fortemente deformate e quindi il paziente vede notevolmente male. Il cheratocono procede attraverso peggioramenti successivi, cui corrispondono successivi peggioramenti funzionali. Classicamente la progressione si divide in 4 stadi. All’inizio la visione non ne è fortemente disturbata ed è possibile ancora trovare lenti su occhiale che ne consentano il miglioramento, ma progressivamente ciò non sarà più possibile. Al 4° stadio la cornea va anche incontro ad un opacamento della zona apicale. Molti cheratoconi sono familiari, alcuni insorgono in occhi precedentemente fortemente astigmatici. Interessa ambedue gli occhi, non ci sono segni di infiammazione nè dolore. Colpisce in genere soggetti giovani, anche all’inizio dell’adolescenza. Tipicamente il peggioramento tende ad essere tanto più rapido e grave quanto più bassa è l’età di comparsa.
La progressione del cheratocono si studia eseguendo mappe corneali in tempi successivi. Le mappe forniscono una restituzione grafica in falsi colori della forma della cornea ed i valori numerici della sua curvatura nei vari punti. Confrontando mappe successive è possibile valutare oggettivamente l’andamento della deformazione.
La terapia si basa nelle fasi iniziali sull’impiego di apposite lenti a contatto che riescono a restituire una visione ottimale e spesso si oppongono ad ulteriori peggioramenti. Se però si assiste ad un aumento della deformazione dallo stadio 1 al 2, si ricorre attualmente alla terapia mediante cross-linking. Questa mira ad ottenere un indurimento della cornea e quindi una maggiore resistenza alla deformazione. Si tratta di impiegare un collirio a base di Vit B2 di sottoporre la cornea a luce ultravioletta, quindi una tecnica veramente poco invasiva. Se non si riesce a bloccare la progressione e le lenti a contatto non danno una buona visione e sono sempre peggio tollerate, con l’apice corneale sempre più sottile e alla fine opaco, occorre ricorrere alla cheratoplastica (trapianto di cornea). Questo può essere a tutto spessore (cheratoplastica perforante): si sostituisce completamente un disco centrale di cornea di 7-7,5 mm di diametro con cornea da donatore. Si può eseguire in alternativa una cheratoplastica lamellare nella quale si mantengono gli strati profondi della cornea dell’ospite e si impiantano soltanto gli strati superficiali da donatore. I risultati sono nella maggior parte dei casi molto positivi e duraturi.

Glaucoma

Per mantenere la propria forma sferica il bulbo oculare è riempito di due sostanze: l’umore vitreo e l’ umore acqueo. Il primo è una sostanza di consistenza simile alla chiara d’uovo ed ha un ricambio lentissimo: è la sede dei cosiddetti “corpi mobili” o “mosche volanti”. Il secondo è invece simile ad acqua appena salata. Il suo ricambio è piuttosto rapido, viene continuamente prodotto e continuamente eliminato in modo da mantenere nell’occhio una pressione costante di circa 16-18 mm di mercurio. Per svariate ragioni questo equilibrio fra produzione e riassorbimento si rompe e la pressione aumenta: questo aumento di pressione prende il nome di glaucoma. Come svariate sono le cause, così svariati sono i tipi di glaucoma. Si riscontra talora un glaucoma acuto, piuttosto raro, in cui l’aumento di pressione avviene d’improvviso, l’occhio si arrossa fortemente, il dolore è molto forte, la perdita della visione molto rilevante e talora definitiva se la terapia non è tempestiva ed adeguata. Più diffuso e frequente è il cosiddetto glaucoma cronico semplice. In questa malattia, sovente a carattere familiare, la produzione dell’umore acqueo si mantiene costante, ma il sistema che lo riassorbe gradualmente perde di efficienza e così la pressione nell’interno dell’occhio gradatamente aumenta. Ciò avviene in modo del tutto privo di sintomi, ma l’aumento di pressione agisce riducendo l’apporto di sangue al nervo ottico nella sua parte più vicina all’occhio. A lungo andare le fibre del nervo ottico degenerano provocando una riduzione lenta e graduale del campo visivo. Alla fine la visione si annulla, senza più alcuna possibilità di recupero. Tutto il processo si è compiuto senza dare alcun segno di sé, per questo l’unica soluzione possibile è la prevenzione. Specie se si è parenti di glaucomatosi, ma non soltanto, occorre dopo i 40 anni una misurazione periodica della pressione intraoculare, procedura del tutto non invasiva, una valutazione con appositi test l’eventuale riduzione iniziale del campo visivo, l’osservazione della testa del nervo ottico che oggi ci consente con l’esplorazione laser di scoprire anche inizialissime sofferenze delle fibre nervose. Oggi sono disponibili numerosi farmaci in grado di regolarizzare la pressione oculare e di bloccarne così la progressione e di limitarne fortemente i danni. Molto più raramente si ricorre attualmente alla chirurgia.
Un aumento della pressione interna nell’occhio può colpire anche la primissima infanzia: è il glaucoma congenito. E’ un evento piuttosto raro, ma gravissimo. Ancora oggi circa il 50% degli occhi interessati rischia di divenire cieco. Esso si caratterizza per un segno tipico che prende il nome di buftalmo (occhio di bue) poiché l’occhio è ancora distendibile e quindi la pressione interna che aumenta provoca un forte ingrandimento del bulbo, in particolare della cornea: ciò consente anche ai genitori e al pediatra di porre il sospetto. La terapia è obbligatoriamente chirurgica, non sempre efficace, talora da ripetere, talora non priva di complicanza, ma fortunatamente in molti casi efficace e definitiva.

Gli strabismi

L’asse visivo è la linea immaginaria che unisce la fovea dell’occhio con l’oggetto fissato. Normalmente, grazie alla perfetta armonia dei movimenti imposti dai muscoli oculari ai due occhi, i rispettivi assi visivi sono perfettamente paralleli e diretti verso lo stesso oggetto in qualunque direzione si trovi. Questo consente di avere una visione singola “fondendo” insieme, nella corteccia visiva, le immagini che giungono separatamente da ciascun occhio fino alla visione stereoscopica, così largamente sfruttata dall’attuale cinematografia 3D.
Talora però il parallelismo degli assi visivi si perde e gli occhi appaiono diretti ciascuno in una diversa direzione: è questo lo strabismo.
A seconda dell’età di insorgenza si distinguono due principali tipi di strabismi: quelli insorti nell’infanzia e quelli insorti in età adulta.

Strabismi infantili

Solitamente si tratta di strabismi detti “concomitanti” poiché i movimenti degli occhi sono completi e i due assi visivi, anche se non paralleli, si muovono in modo sincronizzato come due ballerini distanti uno dall’altro. Se ne riconoscono di convergenti (quando i due assi visivi “vanno in dentro”) tecnicamente chiamate esotropie, di divergenti (quando gli occhi “vanno in fuori”) e verticali, quando un occhio appare diretto più in alto dell’altro. La conseguenza principale degli strabismi infantili è la perdita della fusione, cioè della capacità di usare i due occhi insieme: solitamente si ha “soppressione”, cioè l’immagine dell’occhio deviato non raggiunge la corteccia cerebrale e di conseguenza non si ha visione stereoscopica. Inoltre, se l’occhio usato è sempre lo stesso e l’altro è costantemente soppresso, questo può andare incontro ad ambliopia. Le cause degli strabismi infantili non sono ancora del tutto chiarite: in alcune giuoca un ruolo rilevante l’ipermetropia (strabismi accomodativi, solitamente convergenti), in altri una visione scarsa a causa di altre malattie oculari (strabismi sensoriali, sia convergenti che divergenti), in altri fattori innervazionali spesso più ipotetici che comprovati, in altri anomalie congenite della muscolatura (sindromi da restrizione). Alcuni strabismi infantili, in particolare quelli verticali, costringono il bambino ad una posizione anomala del capo che appare inclinato da un lato o dall’altro, oppure con il mento alzato od abbassato, oppure ruotato verso destra o verso sinistra.
La terapia degli strabismi infantili si basa sull’uso di lenti correttive degli eventuali vizi di refrazione (in particolare l’ipermetropia e l’astigmatismo) e sulla prevenzione e il trattamento dell’ambliopia. Una volta ottenuti i migliori risultati visivi possibili ed il miglior allineamento degli assi visivi con mezzi conservativi, può essere necessario ricorrere alla chirurgia per regolarizzare la posizione degli occhi e per eliminare le eventuali posizioni anomale del capo. In generale, se l’indicazione è corretta, i risultati della chirurgia sono positivi e stabili nel tempo. Va tenuto presente, però, che l’uso di lenti correttive può essere necessario anche dopo la chirurgia.

Strabismi dell’adulto

Nell’adulto sono talora presenti strabismi già presenti nell’infanzia e non corretti adeguatamente, o recidivati, o sovracorretti, o addirittura mai corretti. Le procedure sono uguali a quelle infantili tranne ovviamente per l’ambliopia che ormai si è stabilizzata e non può essere migliorata. Molto frequente è il ricorso alla correzione chirurgica che solitamente si esegue in anestesia locale.
Nell’adulto, però, gli strabismi compaiono anche tardivamente. Il segno preminente degli strabismi comparsi in età adulta è la diplopia, cioè il vedere doppio, che costituisce per il paziente un fastidio spesso insopportabile. Nell’adulto si perde infatti quella capacità di “soppressione” che caratterizza gli strabismi infantili. Frequentemente l’adulto è costretto dalla diplopia a tenere un occhio chiuso o ad assumere una posizione obbligata del capo che gli consenta di ridurre la diplopia.
Le cause più frequenti dello strabismo comparso in età adulta sono i traumi cranici e dell’orbita, le malattie neurologiche quali la sclerosi multipla, l’ictus, l’ipertiroidismo, gli esiti di interventi neurochirurgici, il diabete e le malattie vascolari del distretto cefalico. Nella maggior parte dei casi, dopo un periodo d’attesa di circa un anno dopo l’evento causale per consentire quanto possibile la ripresa spontanea, è necessario ricorrere alla correzione chirurgica che riposiziona i muscoli oculari ipofunzionanti in modo da eliminare la diplopia specialmente nelle direzioni più usate, il dritto davanti e lo sguardo in basso e nel ridurre l’anomalia di posizione del capo.

Nistagmo

Il nistagmo è un’oscillazione ritmica degli occhi, involontaria, solitamente sul piano orizzontale, talora anche verticale. Il nistagmo è spesso congenito, talora acquisito in patologie del sistema nervoso quali l’ictus ed i disturbi vascolari encefalici, i tumori, la sclerosi multipla e così via.
Gli strabismi congeniti, già presenti nell’infanzia, sono in genere di due origini. Si riconoscono nistagmi di origine sensoriale, legati cioè ad una forte riduzione visiva che impedisce agli occhi di stabilizzarsi. Si riscontrano nell’albinismo, nelle atrofie e sub atrofie ottiche, nelle maculopatie congenite o acquisite delle prime età. Si accompagnano raramente con una riduzione delle scosse in una o altra direzione di sguardo. Possono essere ridotti mediante opportuni interventi chirurgici sui muscoli oculari, ma il miglioramento visivo ottenuto è solitamente scarsissimo. Il secondo groppo è spesso di origine familiare, l‘acuità visiva è discreta, spesso in una direzione dello sguardo le scosse si riducono e l’acuità visiva migliora. Per quanto è spesso presente una posizione anomala del capo che il paziente sfrutta per mantenere gli occhi nella direzione di minore nistagmo e quindi di visione migliore. Questo gruppo di nistagmi trae sovente notevoli benefici dalla correzione chirurgica, sia in termini di acuità visiva che di eliminazione dell’anomala posizione del capo.

I Vizi di Rifrazione

Per consentire una visione nitida, nell’occhio esiste un sistema ottico che permette la messa a fuoco delle immagini sulla retina. Esso è costituito dalla cornea e dal cristallino, che sono in sostanza due lenti. Una lente è una struttura trasparente in grado, per la sua forma e per le caratteristiche del materiale che la costituisce, di raccogliere i fotoni che emergono da tutti gli oggetti luminosi ed illuminati, posti davanti ad , essa e di focalizzarli su una superficie opaca posta ad una certa distanza dalla lente stessa. Tale distanza si misura in diottrie, che sono l’unità di misura del potere delle lenti : la lente da 1 diottria focalizza ad un metro di distanza, quella da 10 diottrie a 1/10 di metro (10 cm), quella da 25 diottrie ad 1/25 di metro (4 cm) e così via. La cornea ed il cristallino nel loro insieme devono focalizzare le immagini sulla retina ad una distanza molto piccola, poiché le dimensioni dell’occhio sono molto piccole, e che corrisponde a circa 20 mm. Quando il potere complessivo della cornea e del cristallino corrisponde esattamente alla distanza fra essi e la retina e le immagini vanno a fuoco sulla retina senza che l’occhio compia alcuno sforzo, siamo davanti ad un occhio emmetrope. Non sempre è così, spesso anzi questa perfetta corrispondenza non c’è e le immagini che si formano sulla retina risultano sfuocate. In questo caso ci troveremo di fronte ad una ametropia (o vizio di refrazione). I vizi di refrazione principali sono quattro, miopia, ipermetropia, astigmatismo e presbiopia: i primi due sono legati alla mancata corrispondenza fra il potere del complesso cornea-cristallino e la distanza a cui si trova la retina (quindi dipendono dalla lunghezza dell’occhio per questo sono detti assiali). Il terzo dipende dalla forma della cornea che non risulta perfettamente sferica. Il quarto è legato alla progressiva perdita di elasticità del cristallino.

Ipermetropia

Nell’occhio ipermetrope la distanza fra il complesso cornea-cristallino e la retina è ridotta per cui le immagini, quando raggiungono la retina, non sono ancora perfettamente a fuoco. Il paziente rimedia facilmente a questa sfuocatura utilizzando lo stesso meccanismo che si impiega per passare dalla visione lontana a quella ravvicinata, l’accomodazione, che si realizza modificando la forma del cristallino. Ciò consente in genere al soggetto di avere un’ottima qualità visiva che maschera completamente la presenza del vizio refrattivo, a prezzo però di un continuo sforzo accomodativo. Questo può avere due conseguenze: da un lato può provocare astenopia, un complesso di sintomi con cefalea, bruciore oculare, dolore retro bulbare, sensazione di affaticamento; dall’altro può causare un tipico strabismo convergente, detto accomodativo, che si risolve con l’uso di lenti adeguate che consentono alle immagini di formarsi sulla retina senza provocare sforzo accomodativo.
L’ipermetropia si corregge, come la miopia, sia con lenti su occhiale che mediante lenti a contatto. E’ invece possibile soltanto in caso di ipermetropia moderata (sotto le 4 diottrie) la correzione mediante laser.

Maculopatie e retinopatie

Il sistema diottrico focalizza sulla retina le immagini del mondo esterno e questa li trasforma, tramite i fotorecettori, in un segnale bioelettrico da trasmettere alla corteccia visiva). I coni sono i fotorecettori sensibili ai colori, ma hanno bisogno di molta luce per essere eccitati (sistema fotopico), i bastoncelli vengono eccitati anche da livelli luminosi molto bassi (sistema scotopico), ma non sono in grado di distinguere i colori. Nella fovea centrale sono presenti solo coni e si ha il massimo del potere risolutivo (acuità visiva), la periferia della retina accoglie coni e bastoncelli, ha potere risolutivo minore, ma costituisce il substrato anatomico del campo visivo. I segni e sintomi delle affezioni retiniche sono correlati con questa organizzazione anatomo-funzionale.

I principali sono:

  • • riduzione dell’acuità visiva (interessamento dei coni centrali), valutabile con le tavole ottotipiche;
  • • discromatopsia (interessamento dei coni centrali e periferici), valutabili con il test di Ishihara, che permette di riconoscere l’acromatopsia (cecità completa per i colori) la protanopia (discromatopsia al rosso), la deuteranopia (d. al verde), la tritanopia (d. al blu);
  • • difficoltà nell’adattamento al buio o emeralopia (interessamento del sistema scotopico), può venire rivelata dall’anamnesi;
  • • difficoltà alla visione diurna o nictalopia (interessamento del sistema fotopico), può venire rivelata dall’anamnesi;
  • • riduzioni del campo visivo, o scotomi, (dipendono dal sistema o dall’area retinica intressata) se ampi possono essere rivelati dal test per confronto;
  • • fotofobia (interessamento del sistema fotopico), solitamente rivelata dall’anamnesi;
  • • nistagmo, (segno generico di riduzione visiva), osservabile all’ispezione;
  • • possibili anormalità del riflesso rosso del fondo.

I segni e sintomi descritti non consentono quasi mai di porre una diagnosi certa, ma giustificano un fondato sospetto diagnostico, il cui approfondimento necessita sempre di un accurato esame oftalmoscopico (da eseguire in narcosi se il bambino è piccolo) eventualmente integrato da una fluoroangiografia, di una batteria di test elettrofisiologici (ERG, EOG, PEV), di una perimetria quantitativa, di una adattometria, di una valutazione precisa del senso cromatico, di un test morfologico (OCT) della retina e della papilla ottica.
Maculopatie e retinopatie sono sovente familiari ed ereditarie. Sono molto numerose, molte sono malattie rare. Rimandiamo al testo Oftalmopediatria per una descrizione più estesa.
Un posto speciale meritano oggi le maculopatie dell’anziano. Si tratta di patologie molto invalidanti proprio per il particolare gruppo d’età interessato.

Miopia

Nella miopia la distanza fra il complesso cornea-cristallino e la retina è eccessiva. Pertanto le immagini di oggetti lontani non si formano sulla retina, ma nell’interno dell’occhio e quando raggiungono la retina sono ormai sfuocate. Il paziente pone rimedio a questo problema avvicinandosi all’oggetto di interesse: questo comportamento è spesso il primo segno di miopia nel bambino. Talora la miopia è congenita, quindi presente fino dalla nascita, più spesso compare più tardi, dall’età prescolare fino al termine dell’adolescenza e talora anche più tardi. Poiché è legata all’accrescimento dell’occhio, la miopia è spesso progressiva, nel senso che la sua entità tende ad aumentare nel tempo fino a stabilizzarsi intorno ai 20 anni. L’entità della miopia si misura in diottrie a seconda della distanza a cui il paziente vede nitido: il miope di 1 diottria vede bene a 1 metro, di 2 diottrie a 1/2 metro, di 3 diottrie a 1/3 di metro, di 10 diottrie a 1/10 di metro e così via. In pratica in base al potere della lente che occorre porre davanti all’occhio per riportare le immagini di oggetti lontani a fuoco sulla retina. Le lenti possono essere poste sulla classica montatura da occhiale, oppure essere collocate direttamente a contatto della cornea (lenti a contatto). Recentemente è stata realizzata la possibilità di ridurre la miopia modificando direttamente la curvatura della cornea mediante apposite strumentazioni laser.
Nelle miopie di grado elevato (superiori a 10 diottrie, fino a 20 o 30 diottrie), al vizio di refrazione si associano spesso lesioni della retina. Queste possono interessare la periferia della retina (distacco della retina) o la zona della macula (maculopatia miopica), in ambedue i casi con forte rischio per la visione.

Presbiopia

Con l’andar del tempo la capacità del cristallino di modificare la propria forma per adattarsi alle diverse distanze di osservazione si riduce. In età infantile un occhio emmetrope riesce a distinguere bene piccoli oggetti o i caratteri da stampa più piccoli alla distanza di pochi centimetri. Questa distanza aumenta gradatamente nel tempo finché, fra i 40 e i 45 anni , raggiunge i 30-35 cm, che sono il limite della distanza di lettura, situata in genere intorno ai 33 cm. La capacità del cristallino di adeguarsi alla distanza che consente una visione nitida dei caratteri da stampa diminuisce ulteriormente fin verso i 60 anni, quando finisce per stabilizzarsi. Nel periodo intercorrente fra i 40-45 anni ed i 60 è indispensabile fornire all’occhio una correzione progressivamente adeguata, mediante lenti cosiddette positive o convergenti, che suppliscano la progressiva perdita di capacità di accomodazione del cristallino. La miopia non salva dalla presbiopia, solo che il miope fino alle 3-4 diottrie potrà vedere da vicino semplicemente togliendosi gli occhiali che usa per lontano. L’ipermetrope, invece, vedrà progressivamente ridursi, oltre alla visione da vicino, anche quella da lontano senza lenti che, grazie all’accomodazione, era capace di mantenere validamente finché la stessa accomodazione era pienamente efficiente. Ambedue, miopi ed ipermetropi, si avvarranno positivamente di lenti progressive nelle quali la correzione per lontano è posta nella parte superiore della lente, mentre passando a quella inferiore, solitamente usata per vicino, la correzione si adegua gradatamente alla correzione necessaria per la presbiopia.

Stenosi vie lacrimali

La cornea necessita di essere mantenuta costantemente umida e pulita: a ciò provvedono le lacrime ed il movimento di apertura e chiusura delle palpebre. Le lacrime vengono prodotte da una ghiandola che è collocata in alto e lateralmente sopra l’occhio, protetta dall’arcata sovraorbitaria. Da qui le lacrime discendono e bagnano l’occhio distribuite del movimento palpebrale. Una parte di esse evapora, il resto si raccoglie nell’angolo interno dell’occhio (lago lacrimale). Qui sbocca (al puntino lacrimale) un sottile tubicino (canalicolo lacrimale) che porta le lacrime fino ad un sacchetto (sacco lacrimale) situato a lato del naso. Da qui un altro canalino (dotto naso-lacrimale) scarica le lacrime nel naso. Quest’ultimo canalino, al suo sbocco nel naso, spesso non è completamente aperto alla nascita. Per questa ragione le lacrime non riescono a scaricarsi nel naso e traboccano dal lago lacrimale. Le lacrime che stazionano nel naso, impossibilitate a muoversi, sovente si infettano (dacriocistite). Questo rende le lacrime sporche ed appiccicose e talora provoca la comparsa di un ascesso con arrossamento, gonfiore dolore nell’angolo del naso. Nei primi mesi di vita la terapia si basa sulla spremitura del sacco lacrimale, che si pratica premendo la cute con una certa energia subito al disotto del lago lacrimale, e sull’instillazione immediatamente dopo di colliri antibiotici. Solitamente ciò è sufficiente ad eliminare lacrimazione e occhio appiccicoso entro l’anno di età. Nei pochi casi di insuccesso è necessario procedere al lavaggio e sondaggio delle ve lacrimali. Per eseguirlo occorre l’anestesia generale. Si tratta di introdurre una sottile sonda metallica che percorre le vie lacrimali dal puntino lacrimale al dotto naso-lacrimale fino allo sbocco nel naso che viene così aperto. Un lavaggio con soluzione antibiotica verifica che le lacrime scorrano liberamente e disinfetta il tutto. Di solito la guarigione è completa e definitiva, raramente sono necessari interventi più complessi.

Diagnostica

  • • Aberrometria
  • • Autorefrattometria
  • • Biomicroscopia
  • • Cheratometria
  • • Campo visivo (Campimetria computerizzata)
  • • OCT (RNFL) tomografia fibre nervose per patologia glaucoma
  • • I principali sono:
  • • OCT segmento anteriore
  • • Pachimetria
  • • Schiascopia
  • • Tonometria
  • • Topografia corneale

Cosa è l’OCT


Una specie di “Tac” della macula.

La tomografia ottica a radiazione coerente (OCT) è un nuovo esame, non invasivo che utilizza un fascio laser per fotografare la retina. L’OCT altro non è che una TAC della retina senza l’utilizzo di radiazioni ma di una sorgente laser che esegue delle scansioni della retina. Il risultato è la rappresentazione di una o più sezioni della retina. In questo modo è possibile valutare nei dettagli il profilo della retina mentre l’angiografia valuta la retina solo sul piano frontale. L’OCT è particolarmente utile in tutta una serie di patologie degenerative della retina in particolare per individuare nei dettagli la presenza di una membrana epiretinica o di un foro maculare. L’OCT da importanti informazioni anche per un migliore inquadramento delle degenerazione maculare legata all’età e dell’edema maculare, particolarmente quello che insorge a seguito del diabete.

Prof. Riccardo Frosini